Emilio Bandiera
LA POESIA LATINA DI JOSEPH TUSIANI
di Emilio Bandiera
Nel 1955 fu pubblicato a New York un volumetto di poesie latine, dal titolo significativo di Melos cordis (canto del cuore). Ne era autore Joseph Tusiani, allora trentunenne, emigrato pochi anni prima (nel 1947) dal Gargano a New York e subito inseritosi nell'insegnamento universitario.
Il libretto di Melos cordis conteneva 19 componimenti per un totale di 295 versi in liriche ritmiche o quantitative. Il volumetto non passò inosservato, tanto che se ne interessarono studiosi a livello altissimo (I. Ijsewijn, E. Eberle, ecc.). Colpivano non tanto i temi delle liriche, ma la particolare tensione psicologica con la quale erano scritte, la musicalità dei versi, le sensazioni nuove che suscitavano.
Intanto il poeta abbandonava la lingua italiana e si immergeva nella composizione poetica in lingua inglese; ma la poesia latina avrebbe accompagnato tutta la sua vita, sia pure con alternanze più o meno evidenti Talvolta bastava una sollecitazione particolare (per esempio l'apparecchio per il fax) perché la poesia sgorgasse nuova e ricca.
J. Tusiani ha pubblicato le sue liriche latine su riviste o quotidiani. Di esse e di altre inedite sono state poi effettuate diverse raccolte. Oggi egli può vantare numerosi volumi: "Melos cordis" (1955), "Rosa rosarum" (1984), "In exilio rerum" (a cura di D. Sacré, 1985), "Confinia lucis et umbrae" (a c. di D. Sacré, 1989), "Carmina Latina" (a c. di E. Bandiera, con traduzione, 1994), "Carmina Latina II'' (a c. di E. Bandiera, con traduzione. 1998), "Radìcitus" (a c. di E. Bandiera, con traduzione, 2000), l’inserimento in antologie e una ricca bibliografia specifica. Nove liriche latine tusianee sono state musicate ed è stato pubblicato un CD; due di quelle musiche sono anche state rielaborate per grande orchestra ed eseguite più volte.
Quali sono i motivi per cui ha avuto tanto successo la poesia latina del Tusiani? Dirk Sacré, che è stato uno dei primi divulgatori e studiosi del Tusiani latino, afferma che oggi ci sono molti verseggiatori latini, ma non sono tutti poeti. Tusiani è poeta, qualunque sia la lingua che usa; ed è noto che egli compone in quattro lingue.
Chiariamo subito che la poesia latina del Tusiani non è poesia di seconda classe, né il risultato di un ripiego o di semplice divertimento. Aver superato, tra editi e inediti, gli 8.000 versi non è operazione culturale di poco conto.
La poesia latina del Tusiani è meno conosciuta al grande pubblico; per ovvie ragioni è rimasta quasi chiusa in un ristretto giro di poche persone che possono leggerla nella lingua originale. E forse ancora poco si è fatto per farla conoscere di più e meglio a un pubblico più vasto.
Lo stesso Tusiani ha detto della sua poesia latina: "La chiamerei evasione e pudore. Evado quasi dalla realtà quotidiana e, come Machiavelli, indosso la mia toga curiale per conversare con gli antichi padri. Ho, poi, detto pudore perché, parlando a pochi eletti, confido segreti intimi e puri". E forse anche qui il poeta minimizza per modestia.
Mi permetto allora di presentare una mia classifica (suscettibile di tutte le critiche) riguardante l'opera letteraria del Tusiani.
Nella trilogia autobiografica c'è un racconto ufficiale, "storico" degli avvenimenti della famiglia Tusiani, ricco di dati, di personaggi, di fatti. Un racconto che almeno tenta di essere obbiettivo, anche se - come è noto neppure la fredda trattazione storica può essere obbiettiva.
Nella poesia in lingua inglese, i temi, i sentimenti sono espressi in maniera altamente lirica. Ma proprio perché si tratta di poesia "altamente lirica", alcuni temi sfuggono o non vi entrano.
Nella produzione latina, invece, i temi vengono visti e vissuti in maniera più intima, più piana, più familiare, con notazioni e sfumature che non sono presenti nella lirica inglese, o italiana, o nell'opera in prosa.
Dovrei anche aggiungere la produzione tusianea in lingua sammarchese e specialmente le prime tre raccolte, dove i temi sono ancora più personali, veramente intimi. La più recente poesia dialettale (in poemetti) diventa rivisitazione sognante di temi e tradizioni garganiche.
Nell'ambito di questa classifica, rivendico un posto di grandissima importanza alla produzione tusianea in lingua latina. Ignorando la produzione latina, non capiremmo l'opera tusianea.
Forse qualcuno potrebbe aspettarsi, nel Tusiani latino, la rivisitazione di temi classici, il collegamento ad auctores latini antichi. Vi si trovano - è vero - citazioni o riferimenti a Virgilio, Orazio, Catullo, Seneca, Ausonio; oppure collegamenti ad Enea o Ulisse. Ma sono ben poca cosa nell'insieme della poesia tusianea. Lo spirito di questa poesia, il modo di pensare, la sensibilità del poeta sono attuali, moderni; esprimono il mondo di oggi con tutte le contraddizioni, le conquiste, i problemi. Vi entra la bomba atomica come il computer, la conquista dello spazio come la metropolitana, la guerra come il desiderio di pace.
Si può tentare un elenco dei temi affrontati nella poesia latina del Tusiani.
Il luogo natio, con la via Palude, San Marco in Lamis, il convento di San Matteo, il monte Celano. Per il poeta il Gargano è un mito, un sogno; è il simbolo della fanciullezza e dei primi sogni e progetti; è un mondo incantato ed un paradiso terrestre da conservare inalterato. Riempiono quindi la poesia latina del Tusiani i mietitori dauni, ogni erba utile per il pancotto, i contadini che, tornando a casa a fine giornata, trovano il bacio della moglie e dei figli e la tavola povera, ma pronta. Vi circolano i profumi del pane sfornato e dei tanti fiori che crescono alle finestre e nei campi. Il mandorlo del Gargano è titillato dal sole perché fiorisca. Gli altarini della Madonna nel mese di maggio sono adornati di fiori campestri. Vi si ascoltano ancora i canti della fanciullezza, che narravano delle piante di menta e di rosa che fioriscono nella valle di Stignano. Come pure si odono ancora i canti sacri che il Tusiani bambino cantò nelle varie chiese. Si comprende allora come il paese resta sempre come parte intima nel cuore del poeta.
Come opposto al mito del Gargano, nella poesia latina del Tusiani si trova l'America oltre l’oceano. L'onda atlantica cerca di attutire la musica dell’Adriatico, perché il poeta non ascolti più le musiche della sua terra, la voce della nonna Lucia che gli raccontava le favole. L'America diventa simbolo della vita reale fatta di lavoro, di sofferenza, di esilio; è simbolo della maturità, momento in cui i vuoti sogni non hanno più ragione di esistere.
Si crea allora un pendolo continuo tra Gargano e America, una contrapposizione affettiva passato-presente, bene-male, gioia-dolore, ideale-realtà, luce-oscurità, musica-silenzio, pace della mente-tormento del pensiero ecc. Attorno a questo motivo effettivamente ruota tutta o quasi la poesia del Tusiani, anche quella in lingua inglese o italiana (e ancora di più in quella dialettale).
Ma anche dalla lontana America il poeta ritorna alla sua montagna col pensiero affettuoso o nella realtà, come aquilotto che apprese a volare sul monte e vi ritorna per riprendere forza vitale e ispirazione.
Anche l'America allora entra nella poesia latina del Tusiani. Vi entra come sforzo e impegno di lavoro, come aria inquinata, come tensioni sociali. Vi entra New York con Rockefeller Plaza e le sue cento bandiere colorate "mobili fiordalisi", con San Patrizio e le sue campane, col traffico della Quinta Strada. Vi entrano la metropolitana che trasporta la gente affollata "come misere sardine", la statua della Libertà, le onde dell’Hudson. E vi troviamo Times Square la notte di Capodanno, quando un globo di luce indica l'inizio di un nuovo anno. Non manca la pace del Centra Park. E vi sono entrate anche le Geminae Turres, le Torri Gemelle, prima simbolo del successo americano e poi crudele cumulo di cenere fumante.
Anche la vita e la cronaca americana entrano nella poesia latina del Tusiani. Ed ecco le Olimpiadi invernali del 1984, gli astronauti sulla Luna, la morte di J. F. Kennedy, un incontro nel bar, una passeggiata sulla riva dell’Hudson, il computer nuovo dio, gli alberi di Natale accatastati sulla strada dopo le feste, la nuova casa a Manhattan.
Anche il tema religioso entra - e con una certa importanza! – in questa poesia tusianea. È trattato come ricordo di chiese di San Marco in Lamis o del Gargano, oppure come poesia di una festa. E qui non possono mancare le feste natalizie, con la dolcezza del silenzio e della contemplazione o col rumore dei doni di Babbo Natale. Una visita in chiesa fa ricordare al poeta l’anniversario della morte del padre. Il ricordo di Santa Maria di Stignano si accompagna a un vecchio canto di cui il poeta non ricorda più le parole. Ecco la visita alla cattedrale di Otranto e lo stupore davanti alle ossa dei Martiri. Di particolare importanza la lirica sull’Ascensione, che esprime quella che potremmo chiamare “teologia tusianea”.
Non poteva mancare il tema dell’amore. In certe liriche, può sembrare che il poeta presenti questo argomento in maniera ironica o quantomeno distaccata. Ma credo che sia il comportamento schivo del Tusiani (il suo pudore!) a voler coprire con lo scherzo o l'ironia un tema così importante nella sua vita. Altre liriche infatti presentano in maniera incantata l'amore per Flavia. Il poeta però può anche essere preso e dominato da passione più forte e devastante; una passione d'amore che, come sole estivo delle piane di Puglia, brucia le piante e le anime. Si tratta di amore passionale, fisico. Nella lirica LXV di Carmina Latina II, forse una delle più crude scritte dal Tusiani, nella parte finale sono presenti elementi di una vera e propria redenzione anche della passione amorosa. Non inganni il nome di Venere e non faccia pensare alla semplice divinità pagana. La poesia qui raggiunge culmini altissimi anche di religiosità. L'unione amorosa, anche fisica e persino passionale, è un tagliare le radici stesse del tempo, è una specie di unione all’eterna beatitudine di Dio. Con l'amore, l'uomo si trasforma in puro spirito che vola con ali divine.
Ho accennato, all'inizio, alla simbologia Gargano-America. L'argomento permette di affrontare altri due temi: quello dell'emigrazione in generale e quello dell’emigrazione come esilio.
Sui mutamenti che l'emigrazione ha apportato nella vita e soprattutto nella mentalità del Tusiani, è stato scritto molto, specialmente dopo la pubblicazione di Gente Mia and Other Poems e della trilogia autobiografica della parola. Ma sono emersi - mi pare - soprattutto i problemi legati allo “sradicamento” fisico ed affettivo e questi problemi sono stati studiati in maniera particolare attraverso le cause e gli effetti del bilinguismo; anche perché lo stesso Tusiani ha teorizzato con questa impostazione la sua deracination in Gente Mia and Other Poems e in particolare in alcune liriche molto note.
È la lirica latina del Tusiani che offre però allo studioso le più ampie possibilità per approfondire tutti i problemi legati all’emigrazione. Essa realizza un mutamento completo a livello mentale e affettivo e genera nel poeta diversi e contrastanti sentimenti quali nostalgia e vuoto affettivo, ma anche, a un certo momento, appagamento affettivo e soddisfazione.
L’emigrazione allontana un individuo dalla sua terra e da tutto ciò che la sua terra significa: parenti, lingua, religione, amici, ecc. Quindi è “sradicamento”, è perdita della propria personalità nella ricerca di una nuova che non sarà mai completa. In questo limbo psicologico, ogni più piccola occasione fa "ritornare dolorosamente" il poeta alla sua patria. Fa rimpiangere i luoghi, le persone, le voci, gli odori. Crea una tensione continua tra il luogo di origine e il luogo di elezione.
Il Tusiani propone una sua definizione dell’emigrazione. “L’emigrazione è il flagello della fame”. Secondo questa frase, è la fame il motore dell’emigrazione. La fame, la povertà, il bisogno materiale flagellano la gente e spingono ad emigrare, a cercare altre terre e altre patrie, dove trovare almeno il necessario. Alla fame si aggiunge la guerra. Così il Tusiani unisce, nella sua definizione di emigrazione, gli elementi che hanno generato l’emigrazione dei compaesani e sua personale.
Ma l’emigrazione è anche "esilio". Questo tema è particolarmente sentito già in Melos cordis, forse perché il poeta, avendo lasciato l'Italia da poco, sentiva ancora viva la ferita della partenza.
Sono soprattutto motivi sentimentali, affettivi, e quindi di tipo psicologico quelli che impediscono al Tusiani di tornare definitivamente nella sua terra natia. E sempre motivi sentimentali e affettivi sono quelli che spingono il Tusiani a considerarsi un "esiliato", lui che, come è stato osservato, è stato un "emigrato speciale".
Il Tusiani si è paragonato a Ulisse, ossia a un uomo che, errando di terra in terra, cerca la patria. Ma si è anche paragonato a Enea, ossia a colui che in una nuova terra si costruisce una nuova patria.
Si è però verificata una metamorfosi.
Si è notato, specialmente in alcune liriche recenti, che il Tusiani usa, per l'America o per la valle dell’Hudson, lo stesso lessico che ha prima usato per il Gargano, per la Valle di Stignano. Questo significa che il poeta ha addolcito il suo giudizio sulla terra di adozione e la sente sua. Direi che i tempi sono ormai cambiati. Sono passati molti anni dal quel 1947, anno dell'allontanamento dalla Puglia. La nuova terra non è stata poi così inclemente nei riguardi del Tusiani! È di fatto una nuova patria. Lo aveva già riconosciuto egli stesso nel Song of the Bicentennial di Gente Mia and Other Poems. I successi poetici - e umani - in terra americana avevano portato il Tusiani a proclamarsi solennemente "civis Americanus" (cittadino americano), nella stessa lingua di Roma, la nuova Troia fondata dai successori di Enea. Quindi il Tusiani è di fatto un nuovo Enea, o, come si autodefinisce, l'ultimus Aeneas (ultimo Enea) e l'America è la nuova patria.
Il passare degli anni, le nuove esperienze e le nuove conquiste nella nuova terra, la possibilità di frequenti viaggi di ritorno a San Marco e magari di lunghi periodi di permanenza, hanno addolcito il dolore del distacco dalla terra patria. L'idea dell’esilio si è addolcita.
Torno a Tusiani-UIisse e in particolare alla lirica Vesper Sallentinus. Una cena in casa di amici, cibi sani, vino generoso, discorsi a tavola. Vi sono in questa lirica lievi variazioni (o, se si vuole, 'aggiornamenti') nell'ambientazione e negli elementi presenti, che però non influiscono sulla resa poetica del racconto. Sono le usuali scene di sana vita familiare: la cena con i cibi tradizionali (qui la tradizione è indicata dal vino locale reso "ottimo e forte" dal sole che riscalda le "vostre" valli), la semplicità dei discorsi a tavola, la presente "musica giovanile" dei figli. L'anziano genitore che narra i miti del bosco è sostituito dal padrone di casa che esegue musiche all’organo. Ma l'ospitalità è sempre la stessa, sincera e leale. Sembrerebbe il già nominato Eden garganico pieno di serenità. Il pensiero del poeta corre ai lidi e alle onde della "seconda patria" (si ricordi quanto detto per Enea), la commozione lo porta al pianto. Lo salva la musica.
Ancora una volta lo salva la musica! I "canti di bimbi" di Redire necesse, il “canto del mare” di Daunia lutea lux, il "canto santissimo, / la nenia profonda / che Zefiro cantò" diExul, la "musica di Roma" di Grata responsio diventano la musica dell'organo in Vesper Sallentinus. Queste musiche non sono certamente le "nenie tristi" dell’infanzia ricordate nella lirica Michaeli fratri. Come già ho detto, col passare degli anni, anche se resta l’idea dell'esilio, l'animo del poeta si è un po' rasserenato. Solo in particolari momenti può esserci il rischio di un assalto di tristezza.
Il richiamo della musica mi permette di passare a un altro argomento, appunto alla musica. È sempre presente nella poesia latina tusianea. Costituisce un tema importantissimo, anche perché permette di ricostruire un certo sistema di comporre che il Tusiani usa (e non solo nella poesia latina).
La breve lirica Mane (mattino), termina con l'affermazione in plantis hominumque venis / Musica vita est (nelle piante, / nelle vene umane / è musica la vita).
Musica vita est è un’espressione piuttosto perentoria e certamente molto pregnante. Dal contesto, si deduce che vita è il soggetto della frase e musica è il predicato. Ma la frase, isolata dal contesto, si presenta ambivalente e potrebbe essere intesa - molto meno bene! - come avente musica per soggetto.
Può meravigliare e suonare inattesa la perentorietà dell’espressione, specialmente se si considera che il Tusiani latino è notissimo come poeta della luce.
Non è una contraddizione del poeta; è una sua personale scelta e un suo metodo, che tenterò di presentare e spiegare.
Più volte ho accennato alle "sinestesie" del Tusiani. E credo che ricorrendo a queste si possa superare l'apparente contraddizione del poeta.
Partendo dal principio che la vita è costituita, tra l'altro, da un insieme di sensazioni, si perviene alla conclusione che la vita è costituita da esperienze legate alla vista, agli odori, ai suoni, ai sapori, al tatto. Una precisa sensazione richiama alla mente del poeta altre sensazioni. Un sapore ricorda un'immagine, un canto può far ricordare un odore; quell'odore proviene da un fiore o da un pane appena sfornato. Quel pane riporta alla memoria - o alla coscienza - l'immagine stessa del forno, delle persone presenti, delle voci di quelle persone, degli altri suoni percepiti in quel preciso momento. Si ricrea quindi, attraverso una sola sensazione, una catena di sensazioni, un mondo complesso - lontano o vicino che sia - custodito nel cuore, nell’anima, nell’intelligenza del poeta.
Quest’insieme di ricordi-sensazioni (dove suoni, colori, odori, sapori, tatto sono strettamente uniti) ritorna spesso nelle poesie latine del Tusiani (e non solo in queste).
Aggiungerei un’altra domanda: che cosa è la luce per il Tusiani? La risposta si trova sia nella poesia latina, sia in quella inglese. Il Tusiani parte dalle sorgenti della luce, come il sole, il fuoco, ecc. Queste sorgenti hanno come effetti contemporaneamente luce e calore. La luce corrisponderebbe all'intelligenza. Il calore corrisponderebbe all'amore. È, chiaramente, una teoria medievale, quella stessa che animava francescani e tomisti. Il Tusiani è manifestamente "francescano" e quindi per lui fondamentalmente l'effetto delle fonti di luce è essenzialmente calore, quindi amore. Tutta quella realtà fatta di luce e di musica ricontemplata dal poeta è stata creata da Dio; e Dio per il Tusiani è amore onnipotente, più che onnisciente.
Quando si leggono, nella poesia tusianea, nelle varie lingue che egli ha usato, i tanti lessemi della luce, questi vanno generalmente intesi come "calore-amore". Sono i problemi e i temi del cuore che prevalgono su quelli dell' intelligenza.
E allora luce e musica sono aspetti diversi della medesima realtà o - forse meglio - modi di percepire la medesima realtà: la vita. Inoltre la musica è un dono del cielo (di Dio) agli uomini e specialmente ai poeti.
Il Tusiani redige una graduatoria tra le sensazioni, preponendo a tutte la luce (che è calore-amore) e i suoni. Anche questi due elementi, però, sono organizzati secondo una graduatoria, che è poi una graduatoria personale - tusianea! - delle arti. Come poeta, il Tusiani dovrebbe mettere la poesia all'inizio della sua graduatoria. In realtà afferma che "tutta la poesia deve essere musica" e pone al culmine, al primo posto tra le arti, proprio la musica.
La musica è presente nella natura, anzi sarebbe stata creata da Dio insieme con la materia; la materia muta ha acquistato vita e suono quando è stata scolpita dalla mano di Dio e vivificata dal suo soffio.
Ma il Tusiani considera la musica come dono di Dio, come qualcosa di innato, di presente nella sua mente e nel suo cuore. La musica lo eleva e lo estrania, trascinandolo in un ambiente irreale e sognato, una specie di Ultima Tule.
Mi pare giusto concludere questa parte "teorica" con la considerazione che il Tusiani ha composto, in lingua inglese, un poemetto dal significativo titolo "Marsyas or The Supremacy of Music". Egli parte dalla gara musicale tra Apollo e Marsia, per esporre le sue idee sulla musica e concludere che questa - la musica! - è l'arte più alta.
A conclusione, riporto quanto scrissi nel 1994, nell'Introduzione ai Carmina latina.
“Trovo la poesia latina del Tusiani un autentico esempio di poesia di oggi, nonostante il "vecchio" latino. È una poesia-musica dalla sensibilità moderna, espressa con un linguaggio che gli antichi non avrebbero potuto usare. La "concretezza" della lingua latina, usata dagli antichi anche per la poesia intima, in Tusiani non c'è, o almeno il Tusiani la rifiuta quando non gli serve. Forse è proprio questa la differenza più vistosa tra la poesia latina del Tusiani e quella dei poeti antichi. Perciò la lingua diventa vaga, eterea, si sbriciola in sequenze musicali e di colore, che esprimono sentimenti, idee, stati d'animo, sensazioni multiple e varie in stupende sinestesie ("era fragranza il canto, il canto era fragranza"). Della sensibilità di oggi risentono le scelte del lessico, gli accostamenti aggettivali, le giunture foniche, le frequenti enallagi. Insomma, l'impressionismo (come il simbolismo) non manca.
Poesie brevi in genere, molto più brevi delle lunghe poesie in lingua inglese o italiana, molto più brevi anche delle poesie della "Quinta Stagione". Ma ogni carme è un flash, uno scorcio, una foto istantanea; una scintilla della mente, un palpito o un frammento del cuore».
Per i "classicisti", mi pare giusto aggiungere qualcosa. La poesia latina del Tusiani è fondamentalmente e soprattutto quantitativa. Ma vi sono anche numerosi casi di poesia ritmica e rimata.
Il Tusiani ha usato, per la poesia quantitativa, un po' tutti gli schemi della poesia latina, ovviamente di quella lirica. Ha usato l'esametro dattilico da solo o nel distico elegiaco, gran parte degli schemi catulliani e oraziani. Ha seguito schemi particolari, come una serie di esametri chiusa da un pentametro, o una serie di gliconei chiusa da un ferecrateo, o serie continue di gliconei o di asclepiadei minori; strofe come un quartina composta da due distici elegiaci. Ha trasferito l'ottava italiana, con le rime ABABABCC, in un' ottava di esametri dattilici con lo stesso schema di rime. Come pure ha trasportato la terza rima dantesca in una lirica costituita da una sequenza di endecasillabi faleci. Anche il sonetto è entrato nella poesia latina tusianea, con una sequenza di esametri dattilici quantitativi rimati secondo lo schema ABBA ABBA CDD CEE. Ed ha creato anche uno schema nuovo, costituito da una tripodia anapestica unita a una tripodia giambica catalettica, comunemente con dieresi metrica dopo la terza sede.
[in AA.VV., Joseph Tusiani italiano in America. Versi, narrazioni, e immagini tra due mondi. Studi per l’ottantesimo compleanno, a cura di A. Di Domenico, Foggia, Consorzio per l’Università di Capitanata, 2004, pp. 37-46]